Storie di Territorio

Un Mulino senza tempo, tra passato e futuro

Questa è la storia di un viaggio nel tempo, anzi forse di un viaggio senza tempo. È la storia di Carmine, di Antimo, di donne e uomini che hanno intrecciato la loro vita con il Mulino Caputo ma prima ancora con Napoli.

È la storia di nonno Carmine “senior”, emigrante al contrario dal New Jersey a Capua, ma anche di Antimo “senior” (e perché no di sua moglie Maddalena) che nell’agosto del 1939 si trasferisce a Napoli, in corso San Giovanni, dove la sede del Mulino Caputo ha resistito ad un incendio e oggi si nasconde dietro un cancello che si apre…sul mondo.

Già, perché non lo diresti mai che entrando a Palazzo Savino sei al centro del mondo della farina e puoi muoverti tra il grano proveniente da terre lontane e quello di “famiglia” chiamato Don Carmine. A proposito, Carmine – il papà di Antimo (i nomi di famiglia si ripetono per tradizione) – lo trovi lì, se non è a Campobasso nel nuovo stabilimento, pronto a raccontarti questa storia con passione e orgoglio, lo stesso che Antimo mostra quando parla di Caputo che porta Napoli e l’arte bianca in giro per il mondo. Ne sono passati di pastifici – oltre che di mugnai – dalle parti di corso San Giovanni, oggi (come ieri e come domani) ci sono loro con il Mulino Caputo (con un “Munaciello” portafortuna a fare la guardia). Un presidio di napoletanità che qui fa rima con qualità. “È un metodo, non è un fine – spiega Antimo -. La qualità è un valore che serve a conservare le radici, a preservare quest’arte, a lavorare bene”.

 

 

Tutti loro sono al servizio della qualità perché Caputo si confronta – ogni giorno – con chef, pasticcieri e pizzaioli che sono ambasciatori della cultura del cibo e quindi insieme bisogna trovare una sintesi per fornire a ciascuno le farine migliori. “Siamo la cerniera tra la natura e le mani dei protagonisti, tra il campo e la cucina“, Antimo con un tweet fa chiarezza, poi abbatte una infinità di luoghi comuni. “Ancora e solo dal grano, il nostro motto è più vivo che mai perché ora riproduciamo con la tecnologia le miscele che faceva papà. Abbiamo un sistema di macinazione lento: mettiamo meno grano nelle macchine, schiacciamo gentilmente e abbiamo un prodotto più performante che non viene tritato”.

 

 

Un prodotto “costante” perché frutto di una selezione alla fonte: Caputo infatti è riuscita a indirizzare i suoi agricoltori – con il progetto “Grano Nostrum” – verso la scelta del seme adatto da piantare a seconda del terreno di coltivazione. Anche così ogni farina diventa “specifica” per l’utilizzo che ne verrà fatto. Ad esempio, per i panettoni servono fondamenta forti, occorre cioè una farina molto proteica, capace di “supportare” questo dolce natalizio. Tutte informazioni che di continuo passano di padre in figlio in una sorta di “trasferimento genetico” che è la ricchezza di questa azienda. “Siamo specialisti per gli artigiani di qualità: pizzaioli, pasticcieri e chef – continua Antimo -, ci piace sapere perfettamente quale farina Gennaro Esposito ha utilizzato, ad esempio, per il suo panettone e condividere insieme con lui la scelta”.

 

 

Tecnologia e sensibilità, Caputo è il vecchio mugnaio che è tornato giovane anzi che è “rinato imparato” perché preserva la naturalità delle farine garantendone però la qualità attraverso gli strumenti moderni. Carmine e Antimo sono in mezzo al campo…del cibo, nella zona nevralgica: un po’ mediani, un po’ registi. Corrono sempre, ma a testa alta.

 

Caputo – Il Mulino di Napoli
Corso San Giovanni a Teduccio 55 – 80146
Napoli (Na)
Telefono: 081/7520566
Sito internet: wwww.mulinocaputo.it

 

 

 

 

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