Attaccato alla maglia, lo chef Giuseppe Di Martino
Non è possibile pensare ad un’azienda che non basi le …
La Torre è lì, dove l’ho lasciata qualche giorno fa e dove la ritroverò.
In queste giornate lunghe e piene di sole sarebbe stata brulicante di gente, sarebbero passati amici, ospiti e turisti incuriositi dalla mia cucina. Ho sempre immaginato la Torre del Saracino come un luogo di condivisione e di resistenza.
Saperi e sapori, mi piace l’idea che quando ci si ferma alla Torre si possano conoscere gli ingredienti che compongono i piatti innanzitutto per la storia che raccontano. Sono parte spesso del territorio che circonda la Torre, quindi in pratica ne sono l’espressione viva. Nella condivisione del racconto c’è la fierezza dell’appartenenza ma anche il piacere del confronto, il partire magari dalla Torre per avere poi altri luoghi da esplorare, prodotti da conoscere, eccellenze da assaggiare.
La condivisione, dunque, ma anche la resistenza, quella della Torre come della cucina mediterranea e delle sue tradizioni, al passare del tempo. Del resto, le torri sono sempre state simbolo di resistenza, ci si asserragliava dentro nei momenti più difficili o da lì si spiavano i nemici e le loro mosse. Oggi la Torre del Saracino è spesso custode dell’arte culinaria che ci è stata tramandata, non è però chiusa in se stessa ma ha uno sguardo sul mondo. Proprio per questo mi piace immaginarla, in questi giorni, ancor più fiera. Un baluardo che resiste, in attesa di riaprire e di tornare a brulicare di gente. Condividiamo e resistiamo.
Andiamo avanti, torneremo alla Torre.
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